prima pagina pagina precedente





Dal pensare, al dire al fare
La volta buona per Villa e Parco reale di Monza?
di Giacomo Correale Santacroce


Villa Mirabellino, conosciuta anche come villa Augusta o villa Amalia, in una stampandel 1808 di di Gaspare Galliari

Partiamo dalla buona notizia. Dall'intervento del sindaco Michele Faglia all'interessante convegno organizzato dalla Pro Monza su “Il Parco della Villa Reale di Monza al bicentenario della fondazione” lo scorso 8 ottobre, e dalla relazione del professor Eugenio Bruti Liberati, sembra proprio che finalmente il problema dell'istituzione di una fondazione preposta alla gestione unitaria e autonoma della Villa e del Parco di Monza riceva un'attenzione prioritaria, tanto che entro pochi mesi dovrebbero essere presentate le proposte relative.
Per il resto, il convegno non è stato soltanto un'occasione di ulteriore, sempre utilissimo approfondimento culturale dei fasti e dei nefasti del monumento, ma anche una fonte di nuove e interessanti proposte per il suo recupero e rilancio, in particolare da parte della professoressa Annalisa Maniglio Calcagno e della dottoressa Gioia Gibelli.
Da tutti gli interventi è emerso che il Parco e “le” ville, dal Mirabello dei Durini alla Imperial Regia Villa delle corti austriaca e napoleonica, hanno fatto per lungo tempo parte a pieno titolo di un sistema culturale europeo, con propaggini estese dall'Inghilterra alla Sicilia, e del “Gran tour” obbligato di principi e letterati.
Questo sistema ha subìto ovviamente una evoluzione fino ai giorni nostri, che ha portato molte delle ville e dei parchi che ne fanno parte, perfettamente conservati, a trasformarsi in beni pubblici di alto pregio culturale e naturalistico, aperti alle popolazioni e ai viaggiatori di tutto il mondo.
Da questo sistema la Villa e il Parco di Monza sono oggi ignominiosamente esclusi. Qualcuno si è chiesto come mai, se Versailles sta a Parigi come Schönbrunn sta a Vienna, il Parco di Monza non stia a Milano nello stesso modo. Qualcun altro ha rilevato che, secondo una pubblicazione ufficiale che elenca e illustra le grandi ville e parchi europei, la Villa e il Parco di Monza non esistono. E' noto d'altra parte che anche dalle residenze sabaude, che fanno parte nel loro insieme del patrimonio culturale universale tutelato dall'UNESCO, la Villa e il Parco di Monza sono escluse.
Anche sulle cause di questa esclusione l'accordo è generale: l'abbandono da parte dei Savoia dopo il regicidio e i gravissimi sfregi subiti dal monumento nel corso del secolo scorso, con il sacco della Villa e la distruzione del patrimonio naturalistico causata dalla realizzazione dell'autodromo e da altre destinazioni improprie, sono la causa indiscutibile di questo degrado. Quei tristi eventi non solo non hanno aggiunto alcun valore al monumento e al territorio circostante, né dal punto di vista culturale né da quello economico, ma al contrario lo hanno gravemente decurtato fin quasi ad annullarlo.
Il degrado è stato documentato puntualmente nel convegno, ad esempio con la rigorosa analisi del prof. Vittorio Ingegnoli sullo stato disastroso del patrimonio arboreo del Parco posto a confronto con altre realtà analoghe, il che fa anche capire perché l'architetto Botta si sia potuto permettere qualche mese fa di definirlo “una boscaglia”. Un altro esempio è stato portato dallo stesso sindaco Faglia che ha denunciato, apertamente e opportunamente, le gravi responsabilità del Demanio dello Stato nello sfascio della Villa Mirabellino.
Quello che sorprende, tuttavia, è che da questa generale e condivisa denuncia non si traggano conseguenze coerenti. E' stata particolarmente strabiliante la relazione della sovrintendente ai beni culturali della Lombardia Carla De Francesco, puntualmente assente ed affidata quindi ad una giovane collaboratrice che, pur condividendo puntualmente questa analisi la conclude con una difesa insensata dei guasti del secolo scorso in nome di una non meglio definita “storicizzazione”. Come dire che la storia riscatta i misfatti, che nel caso in esame comprendono ovviamente la fatiscente pista ad alta velocità e relative curve sopraelevate dell'autodromo. Come dire che, se qualcuno avesse deturpato con una crosta un affresco di Leonardo, di cui conosciamo e possiamo ammirare in parte l'esistenza, questa crosta va mantenuta perché ormai “storicizzata”.
E' da augurarsi che questa concezione/contraddizione non ispiri l'ancora incombente progetto di un concorso sull'utilizzo della parte del Parco a nord di viale Cavriga, ahimè in comproprietà tra i comuni di Milano e di Monza.
Se proprio questo concorso s'ha da fare per decisioni irrevocabili, occorrerà almeno che nel bando la proprietà ponga precisi e invalicabili vincoli strategici ai concorrenti, coerentemente con le analisi emerse in questo come nei precedenti convegni: che tutta l'area compresa tra la pista dell'autodromo oggi ancora in funzione e la pista di alta velocità (comprese le curve sopraelevate), inattiva da decenni, venga sottratta a qualsiasi concessione e restituita al Parco; che lo stesso avvenga per tutta l'area del golf; che la gestione dell'autodromo si adegui alle esigenze del Parco, in termini di conservazione e manutenzione delle aree verdi comprese nell'autodromo, del rispetto di rigorosi vincoli acustici; della libera fruibilità di queste aree da parte del pubblico nei giorni non dedicati a manifestazioni a pagamento, della sottoposizione del programma delle manifestazioni all'approvazione dei proprietari (in futuro degli organi della Fondazione) che dovranno verificarne la compatibilità con le finalità del Parco; che sia imposto un divieto assoluto alla realizzazione di qualsiasi ulteriore struttura a carattere permanente.
Tra l'altro, e indipendentemente dal previsto concorso, questi vincoli dovranno costituire oggetto strategicamente qualificante delle convenzioni in scadenza.
Un'ultima osservazione, solo apparentemente fuori tema: nella relazione della sovrintendente, abbiamo ascoltato un passaggio in cui si è espresso estemporaneamente un plauso per l'inserimento nel Parco, dato ormai come cosa fatta, della discutibile opera dello scultore Giancarlo Neri dal titolo “Lo scrittore” e già bollata dalla vox populicome“il tavolo e la cadrega”. Questo accenno mi conferma nella convinzione che la decisione di collocare questa ingombrante opera nel Parco sia stata presa sotto forti pressioni dall'alto e dall'esterno, come tutte le cose realizzate a danno del Parco. E mi conferma dell'opportunità che questo inserimento sia provvisorio, sia poi sottoposto a un giudizio allargato anche all'inclita plebe monzese e che ne sia garantita l'eventuale rimozione senza oneri e spese per questa plebe.

Giacomo Correale Santacroce


in su pagina precedente

  9 ottobre 2005